10-11/01 2026 SADHANA CON WALTER THIRAK RUTA

Sabato 10 e domenica 11 gennaio 2026
Sādhanā con Walter Thirak Ruta
La risultanza dell’impegno con i mezzi appropriati per un fine circoscritto

Nel linguaggio comune dello yoga per sādhanā si intende la propria pratica personale. È bene che la pratica sia regolare e che sia volta ad alcuni obiettivi specifici: apprendimento delle tecniche di base, siano esse āsana, mudrā o prāṇāyāma; oppure il perfezionamento delle tecniche già apprese sino a renderle proprie, ossia beneficiare dei presupposti delle tecniche stesse. Affinché la sādhanā possa produrre risultati, deve esser praticata con regolarità per il tempo adeguato. Altro caposaldo è la gradualità, ossia se la prima tappa è allenarsi come per qualsiasi disciplina o arte del movimento, una volta assodati i miglioramenti, si può andare oltre sperimentando intensità e bravura.

Per esempio, se la pratica di sirśāsana sino alla prima mezz’ora di permanenza è una pratica atletica poi, dopo mezz’ora di permanenza a testa in giù, diventa una pratica psicologica. Con la prima mezz’ora si ottiene la prestanza fisica atta a non arrecare alcun danno alla struttura fisica e a garantire l’equilibrio fisiologico; dopo che si può permanere mezz’ora senza accusare risentimenti muscolo-articolari, si può spostare la difficoltà sulla tenuta psichica, ossia sulla gestione dello stress o sull’apprendimento di meccanismi interni celati a chi non la pratica.

Alcune pratiche sono propedeutiche alle successive. A proposito della propedeuticità di una tecnica rispetto all’altra, si potrebbe dire che non c’è nulla di male a dedicarsi per qualche mese a nāḍi śodhana prima di approcciare una sādhanā incentrata su una tecnica del prāṇāyāma come bhastrikā.

Sempre sul prāṇāyāma, lo Yogi silente di Madras scriveva:

Se il prāṇāyāma diventa la pratica principale della propria sādhanā e quotidianamente gli viene dedicato più tempo, bisogna controllare l’assunzione di cibo, lo sforzo fisico, la parola, i viaggi di lunga distanza ed evitare il digiuno e l’indulgenza al sesso.

Ulteriori indicazioni su come costruire una sādhanā delle pratiche yogiche somato-psichiche saranno il tema del nostro incontro. Ora, può essere utile circoscrivere il tema dicendo che le basi saranno trattate nei dettagli; altrettanto si insisterà sul concetto del perfezionamento della sādhanā.

Non rientra nell’immediato interesse di questo incontro la pratica devozionale dello yoga; ognuno ha il conforto dell’atmosfera della preghiera secondo il proprio credo e sensibilità dell’emotività religiosa. Altrettanto, non si tratteranno le pratiche contemplative. Su quest’ultimo modulo, simpaticamente i Nathyogin avvertono che vi potrebbero essere dei presupposti altrettanto interessanti sui quali impegnarsi per evolvere con delle solide basi, invece di saltare troppo in fretta alle tecniche introspettive. Per esempio i Nath ricordano che:

Gli yogi vedono bene e sono rapidi; come un cane sonnecchiano, ossia non dormono mai completamente assopiti; sono sempre pronti a balzare in piedi e sanno controllarsi nella forza; possono essere profondi in Dhyāna. Quest’ultima condizione può essere raggiunta solo se le precedenti sono adempiute.

Similmente, prima di lanciarsi sul risveglio di kuṇḍalini sarebbe bene essere pronti a dedicarsi con costanza ad acquisire una robusta temperanza, scudo all’incoerenza e alla svogliatezza. Infine, parlando per assurdo, nessuno deve sentirsi fallito se nella propria vita non contempla subito la ricerca del mokṣa, perché ognuno ha il grado di sādhanā che può permettersi secondo il proprio livello spirituale!

Il concetto di sādhanā come presupposto all’insegnamento dello yoga

Nell’insegnamento, quale che esso sia, esistono due diversi obiettivi:

  • la pedagogia che è l’arte di operare a lungo raggio – il Cosa ultimare alla fine di un ciclo di lezioni;
  • la didattica che si incentra su ogni singola lezione come un progetto a sé stante e che potrebbe esser riassunto su Come farlo.

In uno dei testi dello haṭhayoga, la Gheraṇḍa Saṁhitā, possiamo leggere:

Una volta Candakapali andò alla capanna di Gheraṇḍa; e, salutatolo con umiltà e devozione, lo interrogò: “O Signore dello Yoga, io desidero apprendere, ora, lo yoga del corpo, che dà la vera sapienza; dimmi, o Signore dello Yoga, o Potente!”.

“Bene! bene! o valoroso. Ciò che ora mi richiedi ti esporrò: ascolta attento, o figlio! Non c’è legame pari all’illusione (māyā), non c’è potenza maggiore dello Yoga, non c’è più grande amico della conoscenza, né maggior nemico dell’egoismo. Dopo aver appreso le singole lettere si comprendono i trattati; così, dopo aver praticato lo Yoga, si ottiene la vera sapienza.

Dunque, se nelle singole lezioni tutti gli sforzi didattici convergono per apprendere una singola lettera (come), la pedagogia che sottende il tutto (cosa) è quella di permettere agli allievi, alla fine dell’anno scolastico, di poter leggere un libro e di poter esprimere i propri pensieri con un senso compiuto.

Il dilemma di ogni insegnante è di riuscire a ben ponderare tra Come e Cosa ossia non irrigidirsi sulla didattica dimenticando il senso pedagogico, o il contrario, dedicarsi alla pedagogia tralasciando la cura dei dettagli didattici.

Proviamo ora a inserire un terzo elemento all’interno di questa relazione tramite il testo Upadeśasāhasrī (L’Istruzione in un migliaio di versi) di Śrī Samkaracharya che dice:

Cosa è, allora, quello che si rivela come il fine che deve essere conseguito (sādhyam), come i mezzi appropriati a tale realizzazione (sādhanam) e colui stesso che in tale intento si adopra (sādhaka).

Dunque abbiamo:

sādhyam–Cosa          sādhanam–Come          sādhaka–Allievo

La tradizione yoga spende parecchie parole sul Sādhaka – Allievo considerando altamente rilevante questa ulteriore componente della relazione ternaria.Possiamo infatti convenire che la motivazione e l’impegno dell’allievo determinano l’effetto benefico del Sādhanam (Come) e garantiscono l’approdo al Sādhyam (Cosa). Ci sono allievi freddi, tiepidi, motivati e ferventi. Può l’Insegnante, il Maestro, il Tutore aiutare un allievo freddo o tiepido a divenire fervente?

Chi è Walter Thirak Ruta?

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